a scuola di CITTADINANZA

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LE DUE BAMBINE

Non so come si chiamasse, mi pare Mite. Aveva sei anni, cinque biglie, quattro fratellini, tre bambole rotte, due treccine e una palla. Abitava in una casa piccola e brutta. La casa aveva un minuscolo balcone.
Non so come si chiamasse, mi pare Vittoria. Aveva sei anni, cinque bambole nuove, quattro orsi, tre altalene, due fratellini e una palla. Abitava in una casa grande e meravigliosa. La casa aveva un’enorme terrazza.
Le due case erano una di fronte all’altra. Di solito le case dei ricchi sono lontane da quelle dei poveri, ma non sempre.
La vista migliore ce l’aveva la bambina povera. Dalla sua finestra vedeva la bella casa della bambina ricca. La vista peggiore ce l’aveva la bambina ricca. Dalla sua finestra vedeva la brutta casa della bambina povera.
O meglio avrebbe potuto vederla, ma tanto Vittoria non stava mai alla finestra e quasi mai in terrazza, aveva sempre mille cose da fare: lezioni di nuoto, di danza, di musica, di inglese e feste eccetera eccetera e il venerdì sera partiva a volte per il mare a volte per la montagna.
Mite stava invece molto alla finestra o sul suo minuscolo balcone. Non aveva lezioni né di nuoto né di danza né di musica né di inglese né feste né niente di niente e il venerdì non partiva né per il mare né per la montagna.
Essendo la sua casa stretta e i suoi fratelli rumorosi, il balconcino era il suo regno. Almeno finché non veniva raggiunta dagli altri, ma loro stavano quasi sempre dentro, il loro regno era appunto il dentro, là, sotto la Tv.
D’estate però il regno di Mite diventava una specie di forno, non poteva starci. Andava allora alla finestra e da lì guardava la bella ombra della terrazza di fronte, guardava gli spruzzi della pompa automatica, guardava le tre altalene vuote e ferme o a volte mosse leggermente dal vento. Là non c’era mai nessuno, erano tutti in vacanza. Pareva un deserto, ma fresco. In soccorso di Mite si era affacciato alla sua mente l’antichissimo gioco del «Facciamo finta che...».
Facciamo che non sono qua, che sono là, facciamo che sono sull’altalena rossa, anzi sulla gialla, anzi sull’azzurra, anzi su tutte e tre, facciamo che mi dondolo al fresco, facciamo che quando per incantesimo l’acqua inizia a spruzzare i fiori anch’io divento un fiore, facciamo che sono un fiore dai petali leggeri leggeri, color delle fate.
Improvvisamente un vento forte come un uragano portò a Mite milioni e milioni di altri «Facciamo che...».
Facciamo che da grande divento una scrittrice, pensò Mite, e che scrivo l’ingiusta storia delle due bambine, dei milioni di bambini e bambine.
Facciamo che tra mille anni, anzi cinquecento, anzi cento, qualcuno legga e pensi che terribili ingiustissimi crudeli tempi dovevano essere quelli... possibile che nessuno allora protestasse?
Ma saranno esistiti davvero?
Vivian Lamarque, Non calpestate i nostri diritti, UNICEF, Piemme
- Osserva e rifletti sul significato dell’immagine. Poi trova le parole nascoste nel disegno, componi la parola chiave di questa storia e scrivila sui trattini.
- Disegna su un foglio la parola chiave seguendo la tua fantasia. Poi appendi in classe il tuo lavoro, insieme a quelli dei compagni!

SUSSIDIARIO DEI LINGUAGGI 4
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